21 settembre 2008

Un esempio dell'Italia che vorrei: ANNA BONAIUTO

ANNA BONAIUTO. Nasce in Friuli il 28 gennaio 1950 da una famiglia di origine napoletana. Già da bambina decide di fare l'attrice, esattamente quando, durante uno dei tanti viaggi a Napoli, il padre la porta a vedere uno spettacolo al teatro San Carlo. Fedele a questo proposito si diploma a 22 anni all'Accademia d'Arte Drammatica SIlvio D’Amico esordendo a teatro sotto la guida dei più grandi registi italiani. Nel corso della sua carriera, ha lavorato in teatro con importanti registi come Mario Missiroli, Luca Ronconi, Mario Martone, Carlo Cecchi, Toni Servillo.
Nel 1972 debutta al cinema con il film Teresa la ladra di Carlo Di Palma, accanto a Monica Vitti, Stefano Satta Flores, Isa Danieli, Carlo Delle Piane e un giovanissimo Michele Placido.
Mentre l'anno seguente, è nel cast di Film d'amore e d'anarchia, ovvero ‘stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…' , diretta da Lina Wertmuller. A cavallo degli anni Settanta-Ottanta, Anna collaborerà cinematograficamente in b-movie e film impegnati con Bruno Corbucci, Joe D'Amato, Eriprando Visconti, Luciano Odorisio, Giuliana Gamba, Pupi Avati e Luciano Emmer. Ma è solo nel 1992 che si farà veramente notare per la sua maestria nell'arte della recitazione (affinata con gli anni) in Morte di un matematico napoletano, primo film di Mario Martone, accanto a Carlo Cecchi (che la dirige sovente anche in teatro). È proprio con Martone che la Bonaiuto comincerà un fortunato sodalizio artistico.
Nel 1993, Anna Bonaiuto vince la Coppa Volpi a Venezia come Miglior attrice non protagonista nel film di Liliana Cavani Dove siete? Io sono qui. Il ruolo della madre oppressiva di un ragazzo sordomuto, che si intromette nella storia d'amore del figlio, l'Europa inizia a conoscerla. Ed infatti l’anno seguente, Michael Radford, la dirige ne Il postino, ultimo film di Massimo Troisi, accanto a Philippe Noiret e Maria Grazia Cucinotta. Ritorna come protagonista di un film nel 1995, accanto a Gianni Caiafa, nel film di Martone L’amore molesto: storia di una disegnatrice di fumetti che indaga sul suicidio della madre. Con questo vibrante ritratto di una donna in crisi, si aggiudica il Nastro d’Argento ed il David di Donatello come miglior attrice protagonista, nonché il riconoscimento del grande pubblico italiano e straniero. Ma le collaborazioni con Martone non finiscono: seguiranno I Vesuviani (1997) e Teatro di guerra (1998). Alla fine degli anni Novanta, sarà la prostituta Maddalena che si ribella alla propria situazione sociale in Appassionate (1999) di Tonino de Bernardi, mentre con l’entrata del nuovo millennio veste i panni di una psicologa in Prima la musica, poi le parole (2000) di Fulvio Wetzl. Dalla tv, non si lascia corteggiare spesso e le sue apparizioni in qualche fiction sono molto rare. Il suo ruolo più importante, per il popolo del piccolo schermo, rimane quello affianco a Michele Placido ne “Il sequestro Soffiantini” di Riccardo Milani, accanto a Claudio Santamaria e Tony Sperandeo. Il cinema, ma ancora di più il teatro, sono le sue vere case ed è in quelle che trova la sua dimensione: nei ritratti della madre di Giosuè in La passione di Giosuè l’ebreo (2005) di Pasquale Scimeca e in quelli del pubblico ministero nel controverso Il caimano (2006) di Nanni Moretti. nel 2007 è nel cast di Mio fratello è figlio unico diretta da Daniele Luchetti e L'uomo di vetro di Stefano Incerti ed infine è la moglie di Giulio Andreotti (Tony Servillo) ne Il Divo di P.Sorrentino (2008), premiato con il Premio speciale della Giuria al Festival di Cannes 2008. (IRMA Spettacoli)



Scheda tecnica dell’artista su: DIBERTI&ASSOCIATI snc




[…] Anna la conosco da un sacco di tempo, da quando era una specie di ciclone che travolgeva stereotipi e convenzioni teatrali (e presumo anche qualche regista) rifiutandosi tenacemente di sottomettersi al cliché della Giovane Attrice Drammatica Emergente: non era bionda, sapeva anche (far) ridere, era colta, informata e pensante (alla faccia di Diderot), e voleva tutto. Non ce ne sono mica tante, di attrici italiane che siano riuscite a diventare grandissime protagoniste sia in teatro che al cinema, soprattutto negli ultimi vent’anni. Che siano capaci di passare da un ruolo intensamente drammatico (ve la ricordate in "L’amore molesto", bellissima, con tutto quel dolore negli occhi e quell’unico vestito rosso, dall’inizio alla fine? E l’avete vista, in "La ragazza del lago", dar corpo e voce e sguardo a una donna smarrita eppure felice, immemore del passato, perfettamente innocente, struggente e irraggiungibile?) ad altri più lievi, brillanti o comici o addirittura grotteschi (ah, l’impersonificazione stupefacente di Livia Andreotti ne "Il Divo"…).

Tutto questo senza mai abbandonare il teatro, anzi, lavorando costantemente con i registi e i protagonisti più significativi, fino a trovare una sorta di unione perfetta – il mio è un giudizio da spettatrice, oltre che da addetta ai lavori – con Toni Servillo. Le loro interpretazioni del teatro di Eduardo sono strepitose, ma forse Anna merita ancora una lode in più: perché dopotutto Servillo è napoletano verace, ma lei è nata a Udine – e scusate se è poco. […]



(Lella Costa - Questo talento italiano merita la lode – ANNA n.38 – 25 Settembre 2008)





La consiglio perché: non puoi non amare la sua straordinaria capacità di rappresentare la collettività, attraverso l’umile condivisione delle emozioni, senza mai ripetersi nel calco dell’imposizione di se stessa.





Prossimamente in teatro con

IL DIO DELLA CARNEFICINA
Di Yasmina Reza
Regia di Roberto Andò
Scene di Gianni Carluccio
Costumi di Gianni Carluccio
Luci di Gianni Carluccio
Con in o.a. Anna Bonaiuto, Alessio Boni, Michela Cescon, Silvio Orlando





Trama
Véronique e Michel Houillé, genitori del piccolo Bruno, ricevono a casa Annette ed Alain Reille, genitori di Ferdinando che ha colpito al viso, con un bastone di bambù, il loro figlio in un giardinetto pubblico. Le due coppie hanno deciso di incontrarsi per regolare " l'affare' "con civiltà.
All’inizio, tutti i personaggi sono benevoli e concilianti tra loro, tentano anche di intraprendere discorsi sulla necessità di essere tolleranti che pian piano e poco a poco vanno ad infettarsi e diventerà tutt’altra cosa.
Una straordinaria commedia con un cast d’eccellenza.


Note di Regia
È sempre sorprendente riconoscere in un testo per il teatro scritto oggi, la "musica" del proprio tempo. Specie quando questa "musica" è orchestrata a partire dal soffio insidioso della stupidità, la flaubertiana bètise, ovvero dal geometrico disporsi, nella chiacchiera di due coppie del ceto medio parigino, del luogo comune, del pensiero conforme travestito da originale, comicamente intento a imitarne l’accento.
Ne Il Dio della carneficina di Yasmina Reza c’è una specie di furibondo humour sarcastico, ma anche, come di rado capita d’incontrare, l’abilità cesellatrice di un dialogo in bilico tra commedia e tragedia, ricreato ascoltando il potere micidiale e terribile della parola media, la musicalità e la fraseologia, camaleonticamente irresistibile, della medietà, delle sue vaste e sublimi galassie. Un piccolo trattato morale di teoria della cultura, che sembra voler rispondere – con l’ambiguità tipica del teatro – alla seguente domanda: Le buone intenzioni ci salveranno?
La Reza non sembra avere dubbi, e la sua pièce consegna allo spettatore una risposta, a suo modo, inequivoca: No! Ma, poiché l’autrice scrive testi per il teatro, l’inequivoco scetticismo di questa sua risposta lo mette a servizio di una macchina implacabile, d’irresistibile divertimento. È un testo da mettere in scena cercando di non essere eccessivamente contagiati dal sulfureo cinismo che lo abita, lasciandosi guidare dal preciso e geometrico rincorrersi dei colpi di scena, dall’abilità con cui nel dialogo si aprono nuove, inaspettate, prospettive, che sfumano e svariano, dei quattro personaggi che ne reggono l’ordito, a turno, l’odio, il risentimento, l’invidia, il vuoto, il nulla.
La Reza non sembra credere alle magnifiche sorti e progressive dell’uomo contemporaneo, bene informato, diligente servitore di generiche cause morali, coattivamente alla ricerca, per sé, d’improbabili attestati di civiltà e buone maniere. Riesce così, di quest’umanità, a scovare il sottofondo barbarico, nichilista, meschinamente incapace di condividere un pur minimo progetto comune. Lo fa dandosi il perimetro modesto di un intelligente divertissment, di un intrattenimento contagiosamente divertente, che nella risata sommerge anche lo spettatore, riflesso nello specchio deforme di una condizione in cui molti potranno riconoscersi.
Non ho mai affrontato prima d’ora un testo di questo genere, probabilmente per un sospetto. Diffidavo dell’eccessiva definizione di cui sono relatori i personaggi, dell’eccessiva programmaticità che, in genere, abita questo tipo di drammaturgia dedicata all’oggi. Il teatro mi sembra, infatti, da sempre, inestricabilmente legato alla possibilità vertiginosa di far vacillare le nostre certezze, conducendoci in luoghi ignoti, attraverso una lingua di cui non afferriamo mai del tutto il senso. Assistendo, a Parigi, ad una recita dell’allestimento di questa pièce curato dalla stessa Reza, con un formidabile quartetto di attori tra cui una straordinaria Isabelle Huppert, ho capito che questo testo contiene una sfida, compresa tra l’apparente evidenza di ciò che mostra, e l’efferatezza misteriosa che nasconde. È una sfida che non potrei neanche tentare di raccogliere, se non ci fosse la complicità di interpreti in grado di lottare con il testo, schiudendone la ferocia e quel sottofondo ineffabile che ne costituisce la speciale energia nascosta, l’humus oscuro e spaesante.
Ho deciso di mettere in scena Il Dio della Carneficina per accettare questa sfida, condividendola con quattro attori - Anna Bonaiuto, Alessio Boni, Michela Cescon, Silvio Orlando - che, con la loro personalità eccezionale, mi offrono, ancor prima d’iniziare, il salvacondotto necessario perché questo viaggio sia possibile, e la confortante certezza che, comunque, ne sarà valsa la pena.
(Roberto Andò)



Autore
La scrittrice francese Yasmina Reza (1959), comincia come attrice lavorando in varie spettacoli moderni ma anche in classici come Molière e Marivaux. Nel 1987 scrive la sua prima pièce: Conversations après un enterrement (Conversazioni dopo una sepoltura) con cui vince il Molière Award come migliore autore. Traduce La Metamorfosi di Kafka per Roman Polanski per cui viene nominata per il Molière Award come migliore traduttrice. La sua seconda pièce La traversée de l’hiver (La traversata dell’inverno) nel 1990 vince un altro Molière Award e il successivo L’homme du Hasard (L’uomo del caso) riscuote grande successo in tutta Europa e anche in America. Nel 1994 scrive Art (Arte) il capolavoro con cui vince l’anno successivo un altro Molière Award come migliore autore, il testo viene riprodotto in tutto il mondo e tradotto in più di 30 lingue. Tra i lavori più importanti troviamo: Una desolazione, L’alba la sera o la notte, Uomini incapaci di farsi amare. Nel 2006 arriva Dieu du carnage (Il Dio della carneficina) messo in scena l’anno successivo con la regia di Jurge Gosch vince il Viennese Nestroy-Theatreprize come miglior performance in lingua tedesca dell’anno. Debutta l’anno successivo a Londra con la regia di Matthew Warchus, la traduzione di Christopher Hampton, protagonista Ralph Finnes.




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