31 gennaio 2008

Gratis!

Negli Stati Uniti gli automobilisti più affidabili possono avere gratis auto "sponsorizzate"
Biglietti gratis dalle compagnie low cost e scambi di posti letto attraverso Internet

Non solo musica, video e notizie
Ecco come si viaggia senza pagare


di ETTORE LIVINI


MILANO - C'è chi s'è comprato una casa pagandola con una graffetta. C'è una persona in Calabria che regala una Y10 a chi se la ritira. Ci sono catene alberghiere che offrono settimane di vacanza in Costa Brava, compagnie aeree che regalano viaggi, aziende che prestano auto in uso gratuito. La chiamano società dei consumi. Ma, almeno in parte, è una bugia. Certo, il denaro, più che il tempo, è l'unità di misura del terzo millennio. Eppure la vecchia arte d'arrangiarsi da una parte e le strane regole del marketing dall'altra consentono oggi all'uomo di realizzare un sogno antico come il mondo: vivere (quasi) gratis.

L'arte dello scrocco richiede solamente un po' d'adattabilità, spirito d'iniziativa e la capacità di sfruttare a proprio vantaggio le logiche un po' ciniche del nuovo capitalismo, un universo dove l'immagine spesso vale più di un bene materiale. L'esempio più lampante è quello delle automobili. In America (vedi sito www.freecarindex.com o www.libertydrive.com) esistono agenzie pubblicitarie che selezionano persone con la fedina automobilistica immacolata (zero incidenti negli ultimi 10 anni) per regalargli una macchina "sponsorizzata" dai loro clienti con il logo pubblicitario sulle portiere.

Un fenomeno sbarcato anche in Europa ma non in Italia, dove la legge impedisce questo tipo di subaffitto della quattroruote. Le acrobatiche leggi del mercato - sempre in tema di trasporti - producono un altro paradosso: le compagnie aeree che regalano biglietti solo per fidelizzare i passeggeri e lucrare (al limite) sui costi dei servizi accessori come prenotazione auto e alberghi.

Il principe assoluto di queste iniziative è la Ryanair, più che una low cost - in questo caso - una no-cost, visto che prevede di offrire a costo zero nei prossimi tre anni almeno il 50% dei propri posti, sicura che gli optional le basteranno a far tornare i conti. Un'altra frontiera violata dall'arte di vivere gratis è quella dell'alloggio, almeno in vacanza. Il sito cult, in questo caso, è www. couchsurfing. com, una specie di piazza virtuale dove si mette a disposizione un posto letto nel proprio appartamento (oppure il giardino per piantare un tenda) in cambio di ospitalità dagli altri membri della community.

Un successo planetario visto che questo network è già riuscito a organizzare le vacanze senza spesa a oltre 327mila persone, moltissime anche in Italia. Ma il volontariato non è l'unico modo di trovare una casa per farsi una bella settimana al mare. Sull'italianissimo sito www.viveregratis.it, ad esempio, c'è una società spagnola che offre dieci giorni di relax in appartamenti in Costa Brava. Certo è una forma pubblicitaria (il sito non percepisce un euro), visto che la stessa azienda offre soggiorni in multiproprietà nella stessa struttura. Ma non esiste nessun vincolo al riguardo.

"In una società come la nostra avere gratis ciò che di solito paghiamo è molto più facile di quanto si pensi - racconta Francesco Gaudino, inventore del sito tricolore che in quattro mesi di vita ha registrato 12mila iscritti e 2,5 milioni di contatti - . Se prende la nostra rubrica Barattopoli scopre che c'è una persona a Cosenza che regala due auto in cambio del passaggio di proprietà, un'altra che offre una tv a 29 pollici o una mountain bike". E' l'ecologissimo concetto del riciclo, del non - spreco (www.freecycle.org è il vangelo del baratto mondiale) che ha consentito al 26enne disoccupato canadese Kyle MacDonald in una serie di 15 scambi on line di partire da una piccola graffetta rossa per arrivare qualche mese dopo (quando il suo caso era arrivato su tutte le tv Usa) ad avere una casa tutta per sè nel comune di Kipling (la sua storia è su oneredpaperclip.blogspot.com).

E la cultura? Niente paura. Anche qui ce la si può cavare a costo zero. Il Nobel della letteratura gratis, ad esempio, spetta a Paulo Coelho. Nel suo sito (www. paulocoelho.com) appare una foto dello scrittore con la benda da pirata sull'occhio. Cliccando sull'immagine, alla faccia delle case editrici di tutto il mondo, l'autore brasiliano ha messo in rete, gratis, quasi tutti i suoi libri. In alternativa ci si può arrangiare con il bookcrossing (www.bookcrossing.com) una rete virtuale dove gli appassionati di tutto il mondo si scambiano i loro volumi.

Nel mondo dell'arte dello scrocco, in fondo, c'è solo un grande buco. Quello del cibo. Qualcuno però ha risolto anche questo problema. Sono i Freegan americani, un gruppo anarcoide che combatte contro gli sprechi del mondo (www.Freegan.info). La loro ricetta è semplice: frugano nelle pattumiere delle grandi città, vicino ad alberghi e ristoranti soprattutto. Sarà poco dignitoso, ma è politicamente molto corretto. E tra i sacchetti e gli scarti trovano tonnellate di cibo in ottime condizioni. E, alla fine, non c'è nessuno a presentare il conto.

(29 gennaio 2008)

Fonte:
la Repubblica.it

29 gennaio 2008



SECONDO la BBC un europeo su dieci
è stato concepito su un letto Ikea. Gli
altri nove sul pavimento perchè i genitori
non sono riusciti a montarlo, quello
stupido letto.

28 gennaio 2008

LO SCAFANDRO E LA FARFALLA


Di Jean-Dominique Bauby
PONTE ALLE GRAZIE
€ 8,00



"C’è tanto da fare. Si può volare nello spazio e nel tempo, partire per la Terra del Fuoco o per la corte di re Mida. Si può fare visita alla donna amata, scivolarle vicino e accarezzarle il viso ancora addormentato. Si possono costruire castelli in Spagna, conquistare il Vello d’oro, scoprire Atlantide, realizzare i sogni di bambino e le speranze di adulto. Fine delle divagazioni. Bisogna che inizi a comporre i diari di questo viaggio immobile, per essere pronto quando l’inviato del mio editore verrà a raccogliere il mio dettato, lettera per lettera. Nella mente mescolo dieci volte ogni frase, tolgo una parola, aggiungo un aggettivo e imparo il testo a memoria, paragrafo dopo paragrafo."



L’8 dicembre 1995 un ictus getta Jean-Dominique Bauby in coma profondo. Quando ne esce, tutte le sue funzioni motorie sono deteriorate. Colpito da quella che la medicina chiama locked-in syndrome, e che lascia perfettamente lucidi ma prigionieri del proprio corpo inerte, Bauby non può più muoversi, mangiare parlare o anche semplicemente respirare senza aiuto. In quel corpo rigido e incontrollabile come lo scafandro di un palombaro, solo un occhio si muove. Quell’occhio, il sinistro, è il suo legame con il mondo, con gli altri, con la vita. Sbattendo una volta le palpebre del suo occhio Bauby dice di sì, due volte significano un no. Sempre con un battito di ciglia, ferma l’interlocutore su una lettera dell’alfabeto che gli viene recitato secondo l’ordine di frequenza della lingua francese: «E, S, A, R, I, N, T…». E, lettera dopo lettera, Bauby detta parole, frasi, pagine intere...Con il suo occhio Bauby scrive questo libro: per settimane intere, ogni mattina prima dell’alba, pensa e memorizza un capitolo che più tardi detta a una redattrice del suo editore. Così, da dietro l’oblò del suo scafandro, ci invia le cartoline di un mondo che possiamo solo immaginare, dove vola leggera la farfalla del suo spirito. (Ponte Alle Grazie)



Lo consiglio perché: non è un libro, ma un’esperienza.












TITOLO ORIGINALE
Le scaphandre et le papillon [FRANCIA, 2007]
REGIA
Julian Schnabel
INTERPRETI
Con Mathieu Amalric, Emmanuelle Seigner, Marie-Josée Croze, Anne Consigny, Patrick Chesnais, Niels Arestrup, Olatz Lopez Garmendia, Jean-Pierre Cassel






27 gennaio 2008

Il GIORNO DELLA MEMORIA


Guardavo il cielo e mi consolava. Lo guardavo e dicevo: tutto mi avete portato via, ma il cielo non avete potuto portarlo via, perchè questo copre anche i nostri familiari, le nostre case, i nostri paesi...

(Savina Rupel)

Testimonianze dai Leger - RAI Educational

25 gennaio 2008

Oriana Fallaci interview







24 gennaio 2008

Da VERSI TRAMONTABILI

“Ognuno è solo sul cuore della terra
trafitto da un raggio di sole...
... ed è subito herpes!"


"Oh Lesbia,
tu dammi mille baci e quindi cento,
poi altri mille e quindi cento
e poi ancora mille e quindi cento...
... e poi basta coi preliminari che mi scoppiano le mutande!"


"Luca ti amo, ma ti è andata buca,
sta sera ho preso le fave di fuca!"


"Ugo, sei strabico, ma sei figo,
guardi me o guardi il frigo?"


“Son piccin, cornuta e bruna,
senza i tacchi son nessuna,
con i tacchi peggio vado
perchè se scoreggio cado.”


"Scarpettine colorate.
Scarpettine ricamate,
ricamate di seta verde ...
... per andare a pestare le merde!”



(Luciana Littizzetto)

23 gennaio 2008

RIFIUTO




Rifiuto è sempre parola
negativa: nella sostanza
vuol dir di no o scarto.
Al plurale i "rifiuti" stanno
soprattutto per spazzatura
o immondizia, con la
variante popolare
"immondezza", che diventa
a Napoli "munnezza".
Indicano tutto ciò che è
sporco o si scarta per essere
gettato via. L'etimologia
parte da "immondo",
che viene dal latino
mundu(m) (pulito)
preceduto dal prefisso
negativo "in". Immondo
si dice in senso proprio
di chi è sporco, sordido,
laido; in senso letterario
indica chi insozza
o frequenta luoghi luridi;
in senso figurato sta
per repellente, ripugnante,
ma anche per corrotto.
La "munnezza"
che ingombra la provincia
napoletana riunisce tutti
questi significati, li rende
addirittura superlativi.

(Giorgio De Rienzo - Vanity Fair - 23.01.2008)

21 gennaio 2008

PROCESSO A DIO



Di Stefano Massini

Con Ottavia Piccolo, Vittorio Viviani, Silvano Piccardi, Olek Mincer, Enzo Curcurù, Francesco Zecca

Regia di Sergio Fantoni


Processo a Dio affronta il tema della Shoa e ricrea uno dei processi contro Dio che gli ebrei tennero dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e la liberazione dei Campi di Sterminio nazisti. La protagonista è Elga Firsh, un’attrice di origini ebraiche deportata al campo di Maidanek. Straordinariamente sopravvissuta alla catastrofe, Elga decide di portare Dio alla sbarra per la sofferenza del suo popolo. E così, in una baracca di legno prima dell’alba, cinque personaggi (compreso il vecchio rabbino Nachman, difensore di Dio) tengono il loro drammatico processo davanti a un ufficiale nazista prigioniero. (TeatroTeatro.it)




Lo consiglio perchè: mai come in altri testi, il tema della Shoa e della liberazione dei campi di sterminio nazisti, il dolore dell’Olocausto diventano qui motivo di denuncia di una tragedia umana, di ogni epoca e bandiera: l’impossibilità di liberarsi dalla violenza.



Dal 29 al 30 gennaio 2008

20 gennaio 2008

20 Gennaio 1971

Oggi compio 37 anni...


19 gennaio 2008

Mafia e politica...

C'è un equivoco di fondo. Si dice che il politico che ha avuto frequentazioni mafiose, se non viene giudicato colpevole dalla magistratura, è un uomo onesto.
No! La magistratura può fare solo accertamenti di carattere giudiziale. Le istituzioni hanno il dovere di estromettere gli uomini politici vicini alla mafia, per essere oneste e apparire tali.

(Paolo Borsellino)

18 gennaio 2008

ANCHE I BANCARI HANNO UN'ANIMA


ANCHE I BANCARI HANNO UN'ANIMA

Di Italo Terzoli, Enrico Vaime
Con Gino Bramieri, Valeria Valeri, Paola Tedesco, Adriano Giusti, Pino Farruggio, Benito Farruggio, Lino Farruggio, Umberto Farruggio, Franco Cremonini.
Musiche di Berto Pisano
Coreografie di Gino Landi
Scene e costumi di Giulio Coltellacci
Regia teatrale di Pietro Garinei
Regia televisiva di Gino Landi



Non è mai troppo tardi per cambiare:

è quello che succede al bancario Mario, che dopo

una vita fatta di numeri e razionalità,

riscoprirà il gioioso mondo delle emozioni.




Dopo Felicibumta, questo è il miglior copione offerto a Garinei e Giovannini dalla felice coppia di scrittori Terzoli e Vaime, che hanno sposato una vecchia, piccola ma sempre geniale idea: un uomo semplice e tranquillo è una riserva di umanità anche se il suo nome non sarà mai scritto al neon. Quando si esalta questa idea, il pubblico applaude a l’io anonimo che sta dentro ciascuno di noi.
Nel divertente testo di questa commedia con musiche (da cui poi fu tratto anche un film con Montesano), commentata da un complessino che si sposta a vista anche nelle situazioni più complicate, Mario Antoniotti, un ragioniere della Banca Commerciale che sta per andare in pensione, parte per un’ultima missione-ispezione di lavoro con la sua valigia da 60X40X23, preparata col noioso zelo senile di sempre.


La favola
Un bancario, anonimo eroe dei nostri conti, il classico uomo in grigio, si trova a essere al centro dell’attenzione. Non sa che i colleghi, invece della stilografica o dell’orologio, gli hanno regalato segretamente l’avventura che da sempre desiderava: incontrare, come in un romanzo di Pitigrilli, una bellissima e disponibile ragazza in treno (luogo tipico degli sketch del vecchio teatro di rivista, basti pensare ai classici Totò e al Serchiapone di Walter Chiari); cambiare look e fuggire con lei a Venezia; passare una notte da sogno (ma con prezzi da incubo) all’hotel Danieli avendo come vicino di stanza Agnelli. Si cambia, si canta per poi tornare in jeans e camicia hippie, smessi i panni di monsieur Travet, alla moglie maniaca della pulizia che passa la lucidatrice con in testa i bigodini e pensa, vedendolo così cambiato, che sia diventato gay (ma nel 1977 si diceva frocio).
Con una trovata teatrale spiritosa i due vecchi coniugi decidono di cambiar marcia alla vita e il nostro organizza un remake della sua avventura, ma con la moglie, fingendo di non conoscersi: un altro sogno proibito piccolo-borghese. Effetti esilaranti, gran tenerezza in arrivo. In fondo, è come se qui Bramieri dicesse a Venezia di non far la stupida stasera.


Lo spettacolo
Lo show è geometrico ed esilarante in questa doppia e identica struttura: il primo tempo tutto della signorina di bella presenza che sta al gioco e, già pagata, scappa all’alba senza neanche dire ciao; il secondo tempo è un godimento di recitazione per merito di Valeria Valeri, magnifica attrice di vecchia e alta scuola, che si esibisce anche in una capriola da boogie woogie rispondendo con molta ironia ai desideri della nostalgia.
Come in molti spettacoli di Garinei e Giovannini il passato torna anche qui trionfatore: fra le varie musiche di Berto Pisano c’è un delizioso motivo che ci fa tornare in mente la vecchia Hollywood, quella amata da Garinei e soci (“Insieme a te vorrei ballare vorrei ballare Night and day…”), ma anche una sentimantal song che non ha nulla da invidiare allo stile più trash del vecchio Sanremo (“Quando dondola una gondola, è Venezia che ti ninnola…”). E si scopre che il tip tap si può fare anche con le mani. In mezzo ci sono i costi per notte del pubblicizzassimo Danieli, 102.600 lire che oggi sembrano una bazzecola, e la consueta polemica contro la televisione che ha ucciso il dialogo in famiglia; perfino una battuta sul Piccolo Teatro che ha sempre in cartellone L’opera da tre soldi. Bramieri ha la fortuna di trovarsi in mano un personaggio banalmente vero: un Mario qualunque che per un giorno si trasforma nel playboy che ha sempre sognato d’essere e vive il lusso dei settimanali patinati, senza conoscere il menù dei ricchi e il nome dei cocktail, convinto di avere un bel collo da cigno. Impacciato, patetico e provinciale al massimo, il nostro, prima a disagio con l’incantevole Paola Tedesco e il suo cagnolino, si trasforma poco alla volta nel seduttore vecchio stile, imparando il bon ton e mettendo i jeans. Ma il colpo di genio è rifare tutto con la stanca mogliettina, erede di una tradizione tutta italiana d’ipocrisia prematrimoniale, che troverà anche lei la forza di rifare i conti di tutta una vita: addormentata si sveglia. Anche per parlare, finalmente, in signorile e crepuscolare dialettica, del mistero del sesso e delle sue “misure”, chiamando in causa il Perseo di Cellini. Tutto scorre secondo le convenzioni di una convenzione e questo riuscito spettacolo, il primo prodotto e diretto dopo la morte di Giovannini, continua la gloriosa storia con i suoi eccellenti protagonisti, fra cui Coltellacci per scene e costumi e Gino Landi per le coreografie. Il segreto è che da uno spunto crepuscolare e quasi cecoviano, Bramieri, diretto da Garinei senza sbagliare un tempo e un riflesso, riesce a trarre materiale per una continua invenzione comica, anche patetica, ma con simpatia. Perché non c’è uno degli spettatori cinquantenni in platea (a proposito, in pensione a cinquant’anni!) che non si immedesimi col suo rappresentante peccatore originale Bramieri. Gondola, piccioni, grand hotel, il lusso dei sogni organizzati: è possibile farli anche con la moglie? Pieno di spunti ironici, di battute anche ciniche (“A che serve un diario se non t’ammazzi?”), teatralmente lo spettacolo è un continuo fuoco di trovate, che funzionano alla perfezione anche quando la storiella si raggomitola e si ripete, toccando perfino il momento dei ringraziamenti, quando tra gli applausi la moglie svela di aver capito la tresca extraconiugale del marito e di aver provveduto a rimandare il cagnolino a casa della Tedesco, che arriva a prendersi la sua razione di feste. Ed è inedita la scelta di far cantare e suonare le song dello show da quattro fratelli di origine siciliana, i Farruggio, dai trentacinque ai cinquant’anni, che fanno come un sol uomo inseguendo i nostri eroi anche nei momenti di privacy. (Maurizio Porro)



Testo in allegato all’uscita in edicola de
LA GRANDE COMMEDIA MUSICALE DI GARINEI E GIOVANNINI - Dicembre 2007
www.EDICOLAFABBRI.it





Lo consiglio perché: è una delle commedie più divertenti degli ultimi trent'anni, dove puoi osservare lo straordinario talento di Bramieri, capace di fare il clown con quel necessario patetismo, utile a identificarlo con la maggior parte del suo pubblico: è allegro ma dimostra di sapersi guardare dentro, sembrando uno del mucchio e non quell’attore di successo, avvertito e attento, che in realtà era... e puoi osservare la grande Valeria Valeri, qui in un’inedita veste di cantante-ballerina.

17 gennaio 2008

ALLOCUZIONE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER L’INCONTRO CON L’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA "LA SAPIENZA"




Testo dell'allocuzione che il Santo Padre Benedetto XVI avrebbe pronunciato nel corso della Visita all’Università degli Studi "La Sapienza" di Roma, prevista per il 17 gennaio, poi annullata in data 15 gennaio 2008:



Magnifico Rettore,
Autorità politiche e civili,
Illustri docenti e personale tecnico amministrativo,
cari giovani studenti!



È per me motivo di profonda gioia incontrare la comunità della "Sapienza - Università di Roma" in occasione della inaugurazione dell’anno accademico. Da secoli ormai questa Università segna il cammino e la vita della città di Roma, facendo fruttare le migliori energie intellettuali in ogni campo del sapere. Sia nel tempo in cui, dopo la fondazione voluta dal Papa Bonifacio VIII, l’istituzione era alle dirette dipendenze dell’Autorità ecclesiastica, sia successivamente quando lo Studium Urbis si è sviluppato come istituzione dello Stato italiano, la vostra comunità accademica ha conservato un grande livello scientifico e culturale, che la colloca tra le più prestigiose università del mondo. Da sempre la Chiesa di Roma guarda con simpatia e ammirazione a questo centro universitario, riconoscendone l’impegno, talvolta arduo e faticoso, della ricerca e della formazione delle nuove generazioni. Non sono mancati in questi ultimi anni momenti significativi di collaborazione e di dialogo. Vorrei ricordare, in particolare, l’Incontro mondiale dei Rettori in occasione del Giubileo delle Università, che ha visto la vostra comunità farsi carico non solo dell’accoglienza e dell’organizzazione, ma soprattutto della profetica e complessa proposta della elaborazione di un "nuovo umanesimo per il terzo millennio".

Mi è caro, in questa circostanza, esprimere la mia gratitudine per l’invito che mi è stato rivolto a venire nella vostra università per tenervi una lezione. In questa prospettiva mi sono posto innanzitutto la domanda: Che cosa può e deve dire un Papa in un’occasione come questa? Nella mia lezione a Ratisbona ho parlato, sì, da Papa, ma soprattutto ho parlato nella veste del già professore di quella mia università, cercando di collegare ricordi ed attualità. Nell’università "Sapienza", l’antica università di Roma, però, sono invitato proprio come Vescovo di Roma, e perciò debbo parlare come tale. Certo, la "Sapienza" era un tempo l’università del Papa, ma oggi è un’università laica con quell’autonomia che, in base al suo stesso concetto fondativo, ha fatto sempre parte della natura di università, la quale deve essere legata esclusivamente all’autorità della verità. Nella sua libertà da autorità politiche ed ecclesiastiche l’università trova la sua funzione particolare, proprio anche per la società moderna, che ha bisogno di un’istituzione del genere.

Ritorno alla mia domanda di partenza: Che cosa può e deve dire il Papa nell’incontro con l’università della sua città? Riflettendo su questo interrogativo, mi è sembrato che esso ne includesse due altri, la cui chiarificazione dovrebbe condurre da sé alla risposta. Bisogna, infatti, chiedersi: Qual è la natura e la missione del Papato? E ancora: Qual è la natura e la missione dell’università? Non vorrei in questa sede trattenere Voi e me in lunghe disquisizioni sulla natura del Papato. Basti un breve accenno. Il Papa è anzitutto Vescovo di Roma e come tale, in virtù della successione all’Apostolo Pietro, ha una responsabilità episcopale nei riguardi dell’intera Chiesa cattolica. La parola "vescovo"–episkopos, che nel suo significato immediato rimanda a "sorvegliante", già nel Nuovo Testamento è stata fusa insieme con il concetto biblico di Pastore: egli è colui che, da un punto di osservazione sopraelevato, guarda all’insieme, prendendosi cura del giusto cammino e della coesione dell’insieme. In questo senso, tale designazione del compito orienta lo sguardo anzitutto verso l’interno della comunità credente. Il Vescovo – il Pastore – è l’uomo che si prende cura di questa comunità; colui che la conserva unita mantenendola sulla via verso Dio, indicata secondo la fede cristiana da Gesù – e non soltanto indicata: Egli stesso è per noi la via. Ma questa comunità della quale il Vescovo si prende cura – grande o piccola che sia – vive nel mondo; le sue condizioni, il suo cammino, il suo esempio e la sua parola influiscono inevitabilmente su tutto il resto della comunità umana nel suo insieme. Quanto più grande essa è, tanto più le sue buone condizioni o il suo eventuale degrado si ripercuoteranno sull’insieme dell’umanità. Vediamo oggi con molta chiarezza, come le condizioni delle religioni e come la situazione della Chiesa – le sue crisi e i suoi rinnovamenti – agiscano sull’insieme dell’umanità. Così il Papa, proprio come Pastore della sua comunità, è diventato sempre di più anche una voce della ragione etica dell’umanità.

Qui, però, emerge subito l’obiezione, secondo cui il Papa, di fatto, non parlerebbe veramente in base alla ragione etica, ma trarrebbe i suoi giudizi dalla fede e per questo non potrebbe pretendere una loro validità per quanti non condividono questa fede. Dovremo ancora ritornare su questo argomento, perché si pone qui la questione assolutamente fondamentale: Che cosa è la ragione? Come può un’affermazione – soprattutto una norma morale – dimostrarsi "ragionevole"? A questo punto vorrei per il momento solo brevemente rilevare che John Rawls, pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragione "pubblica", vede tuttavia nella loro ragione "non pubblica" almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono. Egli vede un criterio di questa ragionevolezza fra l’altro nel fatto che simili dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina. In questa affermazione mi sembra importante il riconoscimento che l’esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico dell’umana sapienza, sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato. Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell’umanità come tale – la sapienza delle grandi tradizioni religiose – è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee.

Ritorniamo alla domanda di partenza. Il Papa parla come rappresentante di una comunità credente, nella quale durante i secoli della sua esistenza è maturata una determinata sapienza della vita; parla come rappresentante di una comunità che custodisce in sé un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante per l’intera umanità: in questo senso parla come rappresentante di una ragione etica.

Ma ora ci si deve chiedere: E che cosa è l’università? Qual è il suo compito? È una domanda gigantesca alla quale, ancora una volta, posso cercare di rispondere soltanto in stile quasi telegrafico con qualche osservazione. Penso si possa dire che la vera, intima origine dell’università stia nella brama di conoscenza che è propria dell’uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità. In questo senso si può vedere l’interrogarsi di Socrate come l’impulso dal quale è nata l’università occidentale. Penso ad esempio – per menzionare soltanto un testo – alla disputa con Eutifrone, che di fronte a Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate contrappone la domanda: "Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti … Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?" (6 b – c). In questa domanda apparentemente poco devota – che, però, in Socrate derivava da una religiosità più profonda e più pura, dalla ricerca del Dio veramente divino – i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino. Hanno accolto la loro fede non in modo positivista, o come la via d’uscita da desideri non appagati; l’hanno compresa come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore. Per questo, l’interrogarsi della ragione sul Dio più grande come anche sulla vera natura e sul vero senso dell’essere umano era per loro non una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell’essenza del loro modo di essere religiosi. Non avevano bisogno, quindi, di sciogliere o accantonare l’interrogarsi socratico, ma potevano, anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera. Poteva, anzi doveva così, nell’ambito della fede cristiana, nel mondo cristiano, nascere l’università.

È necessario fare un ulteriore passo. L’uomo vuole conoscere – vuole verità. Verità è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere, della theoría, come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra "scientia" e "tristitia": il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto – chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste. Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell’interrogarsi socratico: Qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l’ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell’incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa.

Nella teologia medievale c’è stata una disputa approfondita sul rapporto tra teoria e prassi, sulla giusta relazione tra conoscere ed agire – una disputa che qui non dobbiamo sviluppare. Di fatto l’università medievale con le sue quattro Facoltà presenta questa correlazione. Cominciamo con la Facoltà che, secondo la comprensione di allora, era la quarta, quella di medicina. Anche se era considerata più come "arte" che non come scienza, tuttavia, il suo inserimento nel cosmo dell’universitas significava chiaramente che era collocata nell’ambito della razionalità, che l’arte del guarire stava sotto la guida della ragione e veniva sottratta all’ambito della magia. Guarire è un compito che richiede sempre più della semplice ragione, ma proprio per questo ha bisogno della connessione tra sapere e potere, ha bisogno di appartenere alla sfera della ratio. Inevitabilmente appare la questione della relazione tra prassi e teoria, tra conoscenza ed agire nella Facoltà di giurisprudenza. Si tratta del dare giusta forma alla libertà umana che è sempre libertà nella comunione reciproca: il diritto è il presupposto della libertà, non il suo antagonista. Ma qui emerge subito la domanda: Come s’individuano i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme e servono all’essere buono dell’uomo? A questo punto s’impone un salto nel presente: è la questione del come possa essere trovata una normativa giuridica che costituisca un ordinamento della libertà, della dignità umana e dei diritti dell’uomo. È la questione che ci occupa oggi nei processi democratici di formazione dell’opinione e che al contempo ci angustia come questione per il futuro dell’umanità. Jürgen Habermas esprime, a mio parere, un vasto consenso del pensiero attuale, quando dice che la legittimità di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità, deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti. Riguardo a questa "forma ragionevole" egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un "processo di argomentazione sensibile alla verità" (wahrheitssensibles Argumentationsverfahren). È detto bene, ma è cosa molto difficile da trasformare in una prassi politica. I rappresentanti di quel pubblico "processo di argomentazione" sono – lo sappiamo – prevalentemente i partiti come responsabili della formazione della volontà politica. Di fatto, essi avranno immancabilmente di mira soprattutto il conseguimento di maggioranze e con ciò baderanno quasi inevitabilmente ad interessi che promettono di soddisfare; tali interessi però sono spesso particolari e non servono veramente all’insieme. La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi. Io trovo significativo il fatto che Habermas parli della sensibilità per la verità come di elemento necessario nel processo di argomentazione politica, reinserendo così il concetto di verità nel dibattito filosofico ed in quello politico.

Ma allora diventa inevitabile la domanda di Pilato: Che cos’è la verità? E come la si riconosce? Se per questo si rimanda alla "ragione pubblica", come fa Rawls, segue necessariamente ancora la domanda: Che cosa è ragionevole? Come una ragione si dimostra ragione vera? In ogni caso, si rende in base a ciò evidente che, nella ricerca del diritto della libertà, della verità della giusta convivenza devono essere ascoltate istanze diverse rispetto a partiti e gruppi d’interesse, senza con ciò voler minimamente contestare la loro importanza. Torniamo così alla struttura dell’università medievale. Accanto a quella di giurisprudenza c’erano le Facoltà di filosofia e di teologia, a cui era affidata la ricerca sull’essere uomo nella sua totalità e con ciò il compito di tener desta la sensibilità per la verità. Si potrebbe dire addirittura che questo è il senso permanente e vero di ambedue le Facoltà: essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l’uomo sia distolto dalla ricerca della verità. Ma come possono esse corrispondere a questo compito? Questa è una domanda per la quale bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta definitivamente. Così, a questo punto, neppure io posso offrire propriamente una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda – in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con la loro inquietudine per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta.

Teologia e filosofia formano in ciò una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due può essere distaccata totalmente dall’altra e, tuttavia, ciascuna deve conservare il proprio compito e la propria identità. È merito storico di san Tommaso d’Aquino – di fronte alla differente risposta dei Padri a causa del loro contesto storico – di aver messo in luce l’autonomia della filosofia e con essa il diritto e la responsabilità propri della ragione che s’interroga in base alle sue forze. Differenziandosi dalle filosofie neoplatoniche, in cui religione e filosofia erano inseparabilmente intrecciate, i Padri avevano presentato la fede cristiana come la vera filosofia, sottolineando anche che questa fede corrisponde alle esigenze della ragione in ricerca della verità; che la fede è il "sì" alla verità, rispetto alle religioni mitiche diventate semplice consuetudine. Ma poi, al momento della nascita dell’università, in Occidente non esistevano più quelle religioni, ma solo il cristianesimo, e così bisognava sottolineare in modo nuovo la responsabilità propria della ragione, che non viene assorbita dalla fede. Tommaso si trovò ad agire in un momento privilegiato: per la prima volta gli scritti filosofici di Aristotele erano accessibili nella loro integralità; erano presenti le filosofie ebraiche ed arabe, come specifiche appropriazioni e prosecuzioni della filosofia greca. Così il cristianesimo, in un nuovo dialogo con la ragione degli altri, che veniva incontrando, dovette lottare per la propria ragionevolezza. La Facoltà di filosofia che, come cosiddetta "Facoltà degli artisti", fino a quel momento era stata solo propedeutica alla teologia, divenne ora una Facoltà vera e propria, un partner autonomo della teologia e della fede in questa riflessa. Non possiamo qui soffermarci sull’avvincente confronto che ne derivò. Io direi che l’idea di san Tommaso circa il rapporto tra filosofia e teologia potrebbe essere espressa nella formula trovata dal Concilio di Calcedonia per la cristologia: filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro "senza confusione e senza separazione". "Senza confusione" vuol dire che ognuna delle due deve conservare la propria identità. La filosofia deve rimanere veramente una ricerca della ragione nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità. La teologia deve continuare ad attingere ad un tesoro di conoscenza che non ha inventato essa stessa, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante la riflessione, proprio per questo avvia sempre di nuovo il pensiero. Insieme al "senza confusione" vige anche il "senza separazione": la filosofia non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel grande dialogo della sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente sempre di nuovo accoglie e sviluppa; ma non deve neppure chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all’umanità come indicazione del cammino. Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi, la storia dell’umanesimo cresciuto sulla basa della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica. Certo, molto di ciò che dicono la teologia e la fede può essere fatto proprio soltanto all’interno della fede e quindi non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile. È vero, però, al contempo che il messaggio della fede cristiana non è mai soltanto una "comprehensive religious doctrine" nel senso di Rawls, ma una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa. Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi.

Ebbene, finora ho solo parlato dell’università medievale, cercando tuttavia di lasciar trasparire la natura permanente dell’università e del suo compito. Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere, che nell’università sono valorizzate soprattutto in due grandi ambiti: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l’uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all’umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell’uomo, e di questo possiamo solo essere grati. Ma il cammino dell’uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale! Il pericolo del mondo occidentale – per parlare solo di questo – è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Detto dal punto di vista della struttura dell’università: esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande. Se però la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.

Con ciò ritorno al punto di partenza. Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università? Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà. Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro.


Dal Vaticano, 17 gennaio 2008




BENEDICTUS XVI


© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

16 gennaio 2008

Cos'è il Jazz?


Amico, se lo devi chiedere, non lo saprai mai.

(Louis Armstrong)

14 gennaio 2008

LA SOVRANA LETTRICE


Di Alan Bennett
ADELPHI
€ 12,00

A una cena ufficiale, circostanza che generalmente non si presta a un disinvolto scambio di idee, la regina d’Inghilterra chiede al presidente francese se ha mai letto Jean Genet. Ora, se il personaggio pubblico noto per avere emesso, nella sua carriera, il minor numero di parole arrischia una domanda del genere, qualcosa deve essere successo. E in effetti è successo qualcosa di semplice, ma dalle conseguenze incalcolabili: per un puro accidente, la sovrana ha scoperto quegli oggetti strani che sono i libri, non può più farne a meno e cerca di trasmettere il virus della lettura a chiunque incontri sul suo cammino. Con quali ripercussioni sul suo entourage, sui sudditi, sui servizi di sicurezza e soprattutto sui lettori lo scoprirà solo chi arriverà all’ultima pagina, anzi all’ultima riga. Perché oltre alle irrefrenabili risate questa storia ci regala un sopraffino colpo di scena – uno di quei lampi di genio che ci fanno capire come mai Alan Bennett sia considerato un grande maestro del comico e del teatro contemporaneo. (Adelphi)

Lo consiglio perché: è un brillante invito alla lettura, un elogio ai libri e alla libertà di leggere, che emerge in maniera frizzante e arguta attraverso una narrazione breve e delicata.

10 gennaio 2008

6 gennaio 2008

Una piccola fiaba...

Ecco la fiaba più breve e più bella che hai mai letto.

C’era una volta una ragazza che domandò ad un ragazzo se voleva sposarsi con lei.
Il ragazzo le rispose: “NO!”
Da quel giorno, la ragazza visse felice per sempre, senza lavare, né cucinare, né stirare per nessuno, uscendo con le sue amiche e facendo l’amore con chi voleva, lavorando e spendendo i suoi soldi come voleva.

** FINE **




Il problema è che fin da quando eravamo piccoline, nessuno ci ha mai raccontato questa fiaba. Invece ci hanno fottuto ben bene con questo cazzo di principe azzurro!!!

3 gennaio 2008

Hillary for President




Hillary Rodham Clinton

Professione: senatrice, ex First Lady
Data di nascita: 26 ottobre 1947, Chicago (Illinois)
Famiglia: sposata con Bill Clinton nel 1975, una figlia, Chelsea (1980).
Religione: metodista
Casa: Chappaqua, New York



2 gennaio 2008

La ragazza della porta accanto

Que sara, sara

When I was just a little girl
I asked my mother, what will I be
Will I be pretty, will I be rich
Here's what she said to me.
Que Sera, Sera,
Whatever will be, will be
The future's not ours, to see
Que Sera, Sera
What will be, will be.
When I was young, I fell in love
I asked my sweetheart what lies ahead
Will we have rainbows, day after day
Here's what my sweetheart said.
Que Sera, Sera,
Whatever will be, will be
The future's not ours, to see
Que Sera, Sera
What will be, will be.
Now I have children of my own
They ask their mother, what will I be
Will I be handsome, will I be rich
I tell them tenderly.
Que Sera, Sera,
Whatever will be, will be
The future's not ours, to see
Que Sera, Sera
What will be, will be.






Day, Doris Nome d’arte di Doris von Kappelhoff (Cincinnati, Ohio 1924), attrice e cantante statunitense. La Day aveva già raggiunto una certa notorietà come cantante prima del suo debutto cinematografico, dovuto al regista Michael Curtiz che la scritturò per Amore sottocoperta (1948).

Bionda e dotata di un sorriso abbagliante, la Day passò dall'apparizione in ruoli di secondo piano – quale tipica 'ragazza della porta accanto' – in alcuni musical a numerose interpretazioni in qualità di protagonista in pellicole modellate intorno al suo personaggio. Nonostante l'abilità dimostrata in qualità di attrice brillante, generalmente era ricercata soprattutto per le sue doti di cantante, e le sue esibizioni canore erano considerate il pezzo forte nella maggior parte dei suoi film. Tra essi, Non sparare, baciami! (1953) di David Butler, Amami o lasciami (1955) di Charles Vidor, L'uomo che sapeva troppo (1956) di Alfred Hitchcock (dove canta il celebre tema musicale Que sera sera) e Il giuoco del pigiama (1957) di Stanley Donen costituirono probabilmente gli esiti migliori.

I dischi incisi da Doris Day furono tra i primi esempi di musica leggera di grande successo tra gli adolescenti, per molti dei quali l'attrice rappresentava un modello di comportamento. Con il suo aspetto sano, pieno di energia e del tutto privo di sofisticazione, la Day fu una vera e propria icona dell'ottimismo e del rigoglioso romanticismo dell'era postbellica. La sua carriera fu particolarmente ricca tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio dei Sessanta, allorché una serie di commedie dai forti connotati allusivi (Il letto racconta..., 1959, di Michael Gordon; Amore, ritorna!, 1961 e Il visone sulla pelle, 1962, entrambi di Delbert Mann), in cui talvolta figurava nei panni dell'antagonista di Rock Hudson, furono accettate dal pubblico proprio in ragione della 'moralità' della sua immagine; peraltro fu precisamente questa 'purezza' iconica a ritorcersi contro di lei all'epoca della liberazione sessuale dei tardi anni Sessanta. Nel 1968, dopo la morte del marito, la Day scoprì che quest'ultimo aveva sfruttato la propria condizione dando fondo all'intero patrimonio da lei accumulato; iniziò quindi a lavorare in produzioni televisive, e da allora non ricomparve mai più sugli schermi cinematografici.

"Day, Doris," Microsoft® Encarta® Enciclopedia Online 2007
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1 gennaio 2008

Gennaio mette ai monti la parrucca
Febbraio grandi e piccoli imbacucca
Marzo libera il sol di prigionia
April di bei color orna la via
Maggio vive tra musiche di uccelli
Giugno i frutti ha sui ramoscelli
Luglio matura le messi al solleone
Agosto le fa in fasci e le ripone
Settembre i dolci grappoli arrubina
Ottobre di vendemmia empie la tina
Novembre aride foglie ammucchia in terra
Dicembre ammazza l'anno e lo sotterra