4 maggio 2008

L'UOMO DI VETRO



REGIA
Stefano Incerti
INTERPRETI
David Coco (Leonardo Vitale), Tony Sperandeo (Zio Titta), Anna Bonaiuto (Rosalia Vitale, madre di Leonardo), Ninni Bruschetta (Bruno Cantone), Francesco Scianna (Salvatore), Tony Palazzo (Angelo Saitta),
Elaine Bonsangue (Anna), Ilenia Maccarrone (Maria Vitale)



E' strano Leonardo Vitale. Si isola spesso. Ogni tanto balbetta. Ha paura del buio. Ha serie difficoltà a fare l'amore con Anna, la sua fidanzata.
Viene arrestato la prima volta, il 17 agosto 1972, come sospettato autore del sequestro Cassina. Leonardo durante l'interrogatorio crolla, si mette persino a piangere. Continua a ripetere che lui non c'entra niente ed inizia a fare nomi e cognomi.
Dopo 43 giorni di cella di isolamento viene rilasciato, ma tornato a casa è depresso, impaurito. Non vuole vedere nessuno e per venti giorni non spiccica una parola. Malgrado le cure di madre e sorella, Leonardo peggiora di giorno in giorno. Alterna la depressione alla paura. Sta sempre a spiare alla finestra e sussulta a ogni rumore. E' convinto che stiano per venire a ucciderlo. Poche settimane dopo Vitale viene internato in una clinica psichiatrica.
Un anno dopo, il 30 marzo del '73, Leonardo insiste con il commissario di essere un assassino. Dice che ha ritrovato la fede in Dio e deve confessare per salvarsi l'anima. In una specie di delirio mistico, chiede persino un sacerdote e confessa che suo zio Titta, l'aveva abituato a uccidere, sottoponendolo a prove sempre più crudeli per farne un vero uomo, un uomo d'onore. Leonardo riempie ben 50 cartelle, raccontando fatti e misfatti della mafia negli ultimi decenni. Elenca i responsabili di centinaia di delitti, e tutti i nomi dei costruttori edili collusi con Cosa Nostra. Redige l'organigramma di tutte le cosche di Palermo, dai picciotti ai capi decina, dai capi mandamento ai capi regione, e persino le loro zone territoriali e le attività economiche. La polizia effettua una trentina di arresti, tra cui alcuni nomi eccellenti. Poi succede qualcosa di inaspettato. Vitale comincia a vacillare. In cella, brucia i suoi vestiti perché acquistati con soldi sporchi. Con un pezzo di vetro si incide una croce sul petto. In aula si presenta con un rosario in mano e comincia a dare spettacolo: lo vogliono pazzo, ebbene, lo sarà! Dice di non ricordare nulla, di non sapere nemmeno cosa sia la mafia. Gli psichiatri e il giudice sono sconcertati, sospettano che sia tutto una messa in scena. Non sanno che il giorno prima dell'udienza, la signora Rosalia è andata a trovare il figlio per comunicargli che il suo amatissimo cugino Totò è stato ammazzato. Per Leonardo comincia il calvario. Ora teme per la sorte della madre e della sorella. Ha persino paura di essere ucciso in carcere. Cade nuovamente in depressione e in stati di angoscia confusionale. Leonardo si sente solo, isolato e soprattutto incompreso. Solo Rosalia Vitale e pochi altri hanno capito che è proprio questo che "loro" vogliono. Non lo vogliono morto, perché la morte di Leonardo rafforzerebbe soltanto le sue accuse. Lo vogliono folle. Perché solo un folle può tradire la mafia, visto che per la legge non è attendibile. Per ben otto volte, Leonardo è sottoposto all'elettroshock. Ogni volta si sveglia più confuso e intontito. Zoppica, balbetta, è diventato irriconoscibile. All'ennesimo interrogatorio Leonardo ricomincia come una litania l'elenco di dichiarazioni cui nessuno sembra voler credere. Sul suo sorriso una scritta ci informa che dopo undici anni di manicomio criminale tornerà in libertà nel 1984.
Pochi mesi dopo viene freddato da un sicario con 5 colpi di pistola. (
cinecittànews)


"L'Uomo di vetro" è tratto dal libro omonimo di Salvatore Parlagreco (Ed. Bompiani) e si ispira alla storia di Leonardo Vitale, il primo pentito di mafia che decise di rompere il muro di omertà che impediva alla magistratura di penetrare il sistema mafioso. Vitale pagò questa scelta con il carcere, il manicomio giudiziario e poi con la vita, dato che la mafia, una volta tornato in libertà non esitò ad assassinarlo. Ma questo, spiega il regista Stefano Incerti, è anche un film sulla libertà di coscienza, sulla forza di andare contro tutti per affermare la propria libertà anche contro le proprie radici e gli affetti: è la lotta di un non-eroe, in parte vittima e in parte colpevole. Isolato dagli amici, dopo dodici anni vissuti tra il carcere e il manicomio giudiziario, sottoposto a numerosi elettroshock per dimostrare la sua follia, Leonardo Vitale fu ucciso nel 1984 dopo pochi mesi dalla sua scarcerazione. (01 DISTRIBUTION)



Critica: "Anche se nel Dna del regista c'è la lezione del cinema d'inchiesta e meridionalista di Rosi, 'L'uomo di vetro' non è un film 'giornalistico'. Piuttosto è interessato a scavare nella complessità di un'anima divisa in due (...) Incerti ha trovato la chiave per raccontare 'la lotta di un non eroe, in parte vittima e in parte colpevole'. Fuori dai cliché." (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 15 giugno 2007)

"Senza sposare la causa oggi persa e consunta dall'uso del cine poliziesco o della fiction 'Piovra', Stefano Incerti si ispira a un libro per mettere in scena la storia umana del primo pentito di mafia, avendo nel Dna i film di Petri e Giordana. Senza l'enfasi positivista tv, il film entra sottopelle in una esemplare vicenda nevrotica degna del dr. Sacks, sulle spalle di Leonardo Vitale, primo collaboratore di giustizia che nel '72 fece saltare i tavoli di Cosa Nostra ma pure i suoi nervi: restò 11 anni in manicomio criminale. Tutta realtà romanzesca ma vissuta nel trionfo della mitologia, del folklore, del falso onore di padrini e padroni. David Coco è un attore sensibile e bravo, eccede con misura ed esprime con una sua pìetas la fragilità mentale mina, per volere di zio, una vita violenta. Con lui un cast di ottimo livello tra cui due volti necessari come Sperandeo e Bruschetta e la brava Anna Bonaiuto." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 15 giugno 2007)

"L'idea più bella de 'L'uomo di vetro', dal libro di Salvatore Parlagreco sul primo e misconosciuto pentito di mafia (Bompiani), sta tutta nel vecchio slogan della 'banalità del male'. Leonardo (David Coco) ha un'aria da bravo ragazzo, una fidanzatina adorante, una madre (Anna Bonaiuto) che partecipa alla messinscena quotidiana della normalità. Può essere mafioso uno così? Sulle prime non ci crede nemmeno la polizia. Perché non ci creda nessuno, la mafia, pirandellianamente, lo costringe a fare la parte del pazzo. Finendo per farlo quasi impazzire davvero. E qui il film potrebbe avere un'impennata se Incerti e i suoi interpreti non si contentassero di impaginare un raccontino pulito e al fondo convenzionale, ottimo per la tv. Non sono le storie che mancano, sono le ambizioni." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 21 giugno 2007)

"Chi ha apprezzato 'I cento passi' di Giordana non potrà non essere colpito da 'L'uomo di vetro,' il film del bravo Stefano Incerti, tratto dal libro omonimo di Salvatore Parlagreco, dedicato a Leonardo Vitale, primo pentito di mafia. Di grande realismo e di profondo impatto emotivo, la pellicola, disegnando un verosimile affresco del mondo di "cosa nostra", narra la storia di una lucida follia: quella di un "uomo d'onore" che decide di passare dall'altra parte dopo una lacerante crisi di coscienza. (...) Il suo precario equilibrio psichico, reso più fragile dal "facile" ricorso all'elettroshock, fa il gioco della mafia, che lo vuole pazzo: le dichiarazioni di un folle non hanno peso in tribunale. E così accade. Alla fine è quasi il solo a pagare. Rilasciato dopo 11 anni di manicomio criminale, viene ucciso nel 1984. (...) Quello di Incerti è un film a tratti duro ma mai sopra le righe, che non cade nei classici stereotipi mafiosi. Né fa di Vitale - un misurato David Coco - un eroe. Piuttosto vuole raccontare la battaglia interiore di un uomo, al contempo vittima e colpevole, che diventa una lotta, più o meno consapevole, per affermare la libertà di coscienza anche a costo di andare contro le proprie radici e gli affetti. Non siamo ancora al pentitismo strumentale, di mestiere. E alla fine l'impressione è che il ravvedimento di Vitale sia arrivato in anticipo sui tempi, troppo presto per uno Stato non ancora pronto e colpevolmente indifferente: non capì o non volle capire che la follia in parte era l'autodifesa di un uomo lasciato solo con le sue paure." (Gaetano Vallini, 'L'Osservatore Romano', 23 giugno 2007)



Lo consiglio perché: è la storia di una solitudine ma, soprattutto, la storia di un uomo, di un eroe non positivo. È un film amaro, profondamente disilluso, dominato da un senso di ineluttabilità agghiacciante, eppure affascinante nella narrazione di una lotta per la sopravvivenza.



Salvatore Parlagreco, giornalista e scrittore, è autore di romanzi, saggi e antologie. Ricordiamo Le parole del potere, il potere delle parole (Flacovio), Il piacere e il potere (Novecento), La Mafie (Sansoni), Le ragioni della tolleranza (SEI), Le ragioni dei ragazzi (Loescher), La guerra delle due sinistre (Rubbettino). Con Sugarco ha pubblicato Il mistero del corvo. (SugarCO)

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